Se si può dire che le tematiche socialiste siano state quasi un tabù in Giappone, a maggior ragione si può affermare che in Occidente si è volutamente ignorata la storia del socialismo giapponese. In effetti si può capovolgere la questione e mettere in luce come e quanto si sia voluto nascondere in Occidente. Spesso si è considerata la politica giapponese come una semplice emanazione di un supposto spirito autoritario che non incontrava opposizione grazie a un’attitudine collaborativi di matrice confuciana. Purtroppo o per fortuna, secondo i casi, questo modello non corrisponde agli eventi storici.
Curiosamente perfino la sinistra italiana ha misconosciuto le lotte e le aspirazioni dei socialisti giapponesi. Così abbiamo potuto leggere sulle pagine de "Il Manifesto" i numerosi articoli di Pio d’Emilia che denunciavano l’arretratezza culturale dei giapponesi descritti come un popolo politicamente disimpegnato. Ma anche questi interventi, seppure meritevoli di occuparsi della questione, erano lontani da una corretta conoscenza della storia politica giapponese. Ed è questo il punto che invece vogliamo considerare.
La parola shakaishugi traduce letteralmente socialismo, essendo composta da shakai (società) e shugi (principio, dottrina, -ismo). Il termine apparve in Giappone intorno al 1880. In quel periodo esisteva già un movimento liberale che si batteva per i diritti civili, l’eguaglianza, la libertà e il suffragio universale. Nel 1882 fu fondato il Toyo shakaito (Partito Socialista dell’Oriente) con un programma antiautoritario ispirato ai populisti russi. Il partito fu immediatamente sciolto, ma nel 1883 fu fondato lo Shakaito (Partito Socialista) che organizzò proteste e manifestazioni di notevole intensità. Agli inizi degli anni Novanta alcuni intellettuali della sinistra liberale si orientarono verso le idee del socialismo moderno. Nel 1893 venne fondata la Minyusha (Società degli amici del popolo) che costituì sia una casa editrice sia un’associazione. Nel 1893 pubblicò Genji no shakaishugi (Il socialismo attuale), e nel 1894 la rivista diretta da Tokutomi Iichiro intitolata "Kokumin no tomo" (L’amico della nazione). Nel 1894 venne pubblicato anche Shinkyu shakaishugi (Socialismo vecchio e nuovo), traduzione di Socialism New and Old (Londra, 1890) di William Graham. Ciò a conferma dell’attenzione che i socialisti giapponesi avevano nei confronti del panorama internazionale. In questo contesto avvennero i contatti fra socialisti americani e giapponesi. Il giornalista Takano Fusataro strinse contatti con i numerosi operai emigrati negli Stati Uniti, e così anche Katayama Sen, laureatosi in America.
Nel 1897 Takano Fusataro pubblicò Shokko shokun ni yokosu (Appello ai compagni lavoratori) in cui denunciava lo sfruttamento e le ingiustizie del capitalismo. Come altri intellettuali giapponesi, era però dubbioso delle possibilità di una lotta rivoluzionaria. Nel 1897 Katayama Sen e Takano Fusataro fondarono un forte sindacato giapponese (Sindacato dei lavoratori metallurgici) sul modello dei sindacati americani. Katayama dirigerà anche un bimestrale intitolato "Rodo sekai" (Mondo del lavoro).
Circa i sindacati, il primo fu quello costituito nel 1883 dai conducenti di risciò contro l’introduzione delle carrozze a cavalli. Nel 1894 apparve quello dei tipografi. Ma erano ancora privi di una forte organizzazione, aspetto che fu invece curato nel 1897. Nel 1898 vi fu lo sciopero dei macchinisti della società ferroviaria Nippon tetsudo, i quali rivendicavano una migliore posizione sociale e stipendi più alti.
La repressione non si fece attendere. Nel 1900 il governo promulgò una legge di polizia sulla sicurezza pubblica che proibiva qualsiasi attività operaia e sindacale. La censura proibì la traduzione in giapponese di molti autori come Sombart, Zola, Engels, Marx e Tolstoj. Il divieto rimase fino al 1914. Ovviamente i socialisti trovarono qualsiasi espediente per aggirare i divieti. I sindacati poterono agire come "società di mutuo soccorso" e molte pubblicazioni apparvero con la copertura dell’utilizzo a fini di studio. Infatti la legge prevedeva che si potessero pubblicare scritti con finalità di studio se questi non recavano disturbo all’ordine pubblico. Così apparve nel 1906 la traduzione del Manifesto del Partito Comunista sulle pagine dello "Shakaishugi kenkyu" (Studi socialisti).
Ma l’atmosfera era tutt’altro che tranquilla. Nel settembre 1905 vi furono i moti di Tokyo nati da una manifestazione nel parco di Hibiya per protestare contro le clausole dell’accordo di Portsmouth fra il Giappone e la Russia. Gli scontri furono durissimi, perirono 17 civili sotto i colpi delle spade della polizia e furono distrutti più della metà dei presidi della polizia. Fu proclamata la legge marziale. Il Primo Ministro Katsura Taro fu costretto a dimettersi e fu sostituito dal Principe Saionji. Nel 1906 una serie di scioperi partiti dal cantiere navale di Ishikawajima (febbraio 1906) si estesero all’arsenale civile di Kure, all’arsenale militare di Tokyo (agosto 1906), all’arsenale di Osaka (dicembre 1906), al cantiere navale di Nagasaki (febbraio 1907) e al porto militare di Yokosuka (maggio 1907). A questi scioperi si aggiunsero quelli delle miniere (Ashio, Horonai, Besshi e Ikuno). Il governo reagì con una riorganizzazione industriale e una feroce repressione. Quando Katsura Taro ritornò al potere (luglio 1908) la repressione divenne ancora più brutale. Katsura decise di eliminare definitivamente la sinistra militante.
I socialisti giapponesi avevano però reagito bene ai tentativi di soppressione. Nel 1898 Katayama Sen, Abe Isoo, Kawakami Kiyoshi e altri fondarono lo Shakaishugi kenkyukai (Associazione per lo studio del socialismo) e nel 1900 la Shakaishugi kyokai (Associazione socialista). Il 20 maggio 1901 venne fondato lo Shakai minshuto (Partito Socialdemocratico). Le proposte dei fondatori comprendevano il suffragio universale, il disarmo, la nazionalizzazione delle terre, dei capitali e dei trasporti, e l’istruzione pubblica a carico dello stato. Il partito venne sciolto dopo due giorni per volontà del governo.
I socialisti non si arresero. Nel febbraio 1906, approfittando del governo liberale di Saionji Kinmochi, fondarono il Nihon shakaito (Partito Socialista del Giappone). Il congresso di Tokyo (17 febbraio 1907) del Nihon shakaito vide due mozioni contrapposte. Kotoku Shusui sostenne l’azione diretta, mentre Tazoe Tetsuji appoggiò una tattica parlamentare e legalitaria. L’assemblea congressuale votò a maggioranza una terza mozione di compromesso presentata da Sakai Toshihiko. Ma Katsura Taro attendeva solo un pretesto per soffocare nel sangue il movimento socialista. Avvenne l’episodio delle "bandiere rosse" (22 giugno 1908) causato dalle incomprensioni fra le due fazioni socialiste. La fazione dell’azione diretta, ispirata alla tendenza anarchica, era capeggiata da Kotoku Shusui, Arahata Kanson e Osugi Sakae. L’altra fazione, la corrente parlamentare e moderata, era sostenuta da Tazoe Tetsuji, Ishikawa Sanshiro, Sakai Toshihiko e Yamakawa Hitoshi. L’episodio vide i manifestanti della fazione più radicale agitare le bandiere rosse provocatoriamente. La polizia reagì violentemente.
Nel maggio 1910 avvenne l’episodio gravissimo del "taigyaku jiken" (il caso di alto tradimento). Furono arrestati numerosi militanti socialisti, tra cui Kotoku Shusui, accusati di aver complottato l’assassinio dell’Imperatore. L’accusa era falsa e pretestuosa, ma trovò nelle parole a favore dell’azione diretta un indizio per essere sostenuta. In realtà la corrente più intransigente dei socialisti non era mai andata oltre il livello teorico nell’adesione all’anarchismo.
Tokutomi Roka (1868-1927) commentò così l’episodio:
"Sono chiamati ribelli e traditori, ma non erano dei ribelli ordinari, erano uomini dagli alti ideali […] che si sono sacrificati per un sogno, quello di un nuovo mondo di libertà e uguaglianza, uomini che desideravano fare del loro meglio per l’umanità. Kotoku e gli altri furono considerati dei ribelli dal governo e uccisi. Ma voi non dovete temere i ribelli. Non temete i ribelli. Non temete di diventare ribelli voi stessi. Tutto ciò che è nuovo è ribellione". (Bozza di una conferenza, 1911)
Dodici dei socialisti arrestati furono condannati a morte e impiccati. Fra di loro c’erano Kotoku Shusui e Kanno Sugako. Quest’ultima era stata giornalista, fidanzata di Arahata Kanson, convivente e amante di Kotoku, e aveva partecipato all’episodio delle "bandiere rosse". Le donne giapponesi ebbero un ruolo straordinario nella storia del movimento socialista. Ingiustamente trascurate dai testi occidentali, le donne giapponesi svolsero un’attività intensa che produsse i maggiori cambiamenti a livello sociale lottando per i diritti fondamentali (emancipazione, parità dei sessi, istruzione, suffragio universale). Inoltre aggiunsero nuove motivazioni e istanze alle rivendicazioni dei socialisti, contribuendo ad armonizzare le riforme e l’esistenza umana.
Contemporanea di Kanno Sugako fu Hiratsuka Raicho (1886-1971). Ella portò avanti il movimento di emancipazione femminile raccoltosi intorno alla rivista "Seito" (Calze blu, dal nome di un circolo femminile del XVIII secolo, blue stocking). In tempi recenti, la tradizione femminile socialista ebbe fra gli esponenti più significativi la signora Doi Takako che guidò il Nihon shakaito (Partito Socialista del Giappone) all’opposizione e a numerosi successi elettorali (in particolare nel 1989).
Si può così affermare che ogni epoca del Giappone vide l’impegno delle donne nel cambiamento sociale. L’emancipazione femminile avvenne in tempi così rapidi che sarebbe difficile spiegarla come un semplice riflesso dell’Occidente. In realtà le donne giapponesi avevano sempre avuto un’importanza fondamentale nella società giapponese. E questo avvenne anche per quanto riguarda il movimento socialista.
Higuchi Ichiyo (1872-1896) fu la più importante scrittrice del periodo Meiji, autrice di Takekurabe (Gara d’altezza, 1895) compose circa tremila tanka. Ella fu autodidatta e dimostrò la possibilità di emancipazione delle donne e delle classi modeste attraverso la diffusione della cultura e dell’istruzione.
Yosano Akiko (1878-1942) rappresentò un altro caso di donna emancipata e disinibita. Insistendo sulla necessità di liberare le donne dalle convenzioni, usò la poesia tradizionale (tanka) come mezzo di riscatto sociale. La donna raffigurata da Yosano Akiko era indipendente, consapevole delle sue scelte e dei suoi desideri. La poetessa non mancò di concretizzare nella sua esistenza questi ideali, dimostrandone la possibilità di realizzazione.
Hiratsuka Haruko (1886-1971), attivista socialista conosciuta con lo pseudonimo di Raichou, era chiamata "la donna della nuova era". Fra i suoi articoli ricordiamo Genshi josei wa taiyo de atta (Nei primordi la donna era il sole). Fu amante dello scrittore socialista Morita Yonematsu con il quale tentò il suicidio d’amore (shinju). Morita non comprese le motivazioni di Hiratsuka che desiderava il suicidio per "realizzare il suo ideale di vita, un viaggio solitario, una vittoria dei suoi vent’anni". Egli descrisse però la sua esperienza nel romanzo Fuliggine che divenne documento dello scandalo.
Come è qui emerso, il socialismo non fu soltanto un movimento politico, ma soprattutto un fervore intellettuale e culturale che rinnovò il Giappone. La letteratura giapponese fu profondamente influenzata dal socialismo, sia direttamente (per le tematiche) sia indirettamente (per fornire una risposta alternativa alle domande sollevate dai socialisti). E come tale il socialismo è intensamente e inseparabilmente legato alla storia del Giappone. Una storia mantenuta segreta in Occidente.
PENSIERO COMUNISTA IN GIAPPONE E STORIA DEL PARTITO COMUNISTA GIAPPONESE
Kyosanshugi ovvero comunismo in giapponese. Ma cominciamo dalle origini mondiali del comunismo. La nascita dei partiti comunisti avvenne tramite l’impulso della III Internazionale fondata a Mosca nel 1919, la quale riprendeva l’esperienza della Rivoluzione russa del 1917. Ciò provocò la scissione dei partiti socialisti preesistenti, come quella del Partito Socialista Italiano che diede vita al Partito Comunista Italiano a Livorno nel 1921. Nel 1922, appena l’anno successivo, veniva fondato clandestinamente in Giappone il Nihon Kyosanto (Partito Comunista Giapponese). Nato dai contatti con il Comintern a Shanghai, ebbe durata breve a causa delle polemiche e della repressione della polizia. Esso si sciolse nel marzo del 1924, ma nel dicembre del 1926 fu ricostituito. La figure principali del PCG dei primi anni,oltre a Sakai Toshihiko(1871-1933),padre del pensiero socialista giapponese e fondatore del partito comunista,erano Hitoshi Yamakawa e Kazuo Fukumoto. Hitoshi Yamakawa(1880-1958),vedeva il Giappone come un paese ancora feudale,che doveva raggiungere lo stato di capitalismo avanzato necessaria per fare una rivoluzione proletaria.Kazuo Fukumoto invece,dopo aver studiato il marxismo in Germania e Francia,voleva creare un Partito d' avanguardia su basi leniniste e,a differenza di Yamakawa,riteneva che il Giappone fosse una nazione già capitalisticamente avanzata,quindi pronto per una rivoluzione socialista e che doveva essere considerato al pari delle nazioni occidentali industrializzate e che lo stato feudale era terminato con la Restaurazione imperiale Meiji(1868)Comunque il disaccordo del PCG con gli altri partiti della sinistra fu tale da impedire qualsiasi azione politica.
Se il comunismo non ebbe una grande presa sulle masse popolari giapponesi, al contrario del socialismo che poteva vantare maggiori consensi, ebbe però un’importanza particolare su alcuni intellettuali. Le idee comuniste, e in particolare il metodo marxista, diedero l’impulso a un tipo di studi inusuali in Giappone e nel mondo asiatico. Tuttavia fu proprio questa caratteristica del comunismo giapponese degli anni Venti e Trenta a costituirne la debolezza. Gli intellettuali marxisti giapponesi erano scettici sulle possibilità di una rivoluzione nell’arcipelago nipponico ed erano orientati a forme di lotta pacifiche come la propaganda e la diffusione degli studi. Ciò impediva la formazione di una base popolare a sostegno del partito. Kawai Eijiro espresse questa situazione della sinistra giapponese e le sue idee con chiarezza.
"Quantunque io parli di socialismo, rifiuto i metodi illegali e approvo quelli legali, aborro la rivoluzione violenta e preferisco gli strumenti parlamentari. Di conseguenza, non mi rivolgo alla plebe infima. Non ho mai discusso di socialismo in un comizio di operai." (Dichiarazione al processo del 1939)
Pure nella loro debolezza, questi intellettuali espressero idee brillanti e critiche pungenti. Kawakami Hajime (1879-1946), poeta, professore e giornalista, era un comunista profondamente influenzato dalla religione, in particolare dal cristianesimo e dal buddhismo. Egli poneva l’attenzione sui valori di umiltà e carità e intendeva il comunismo con un senso pacifista, come la via per eliminare le ingiustizie economiche e sociali. Kawakami era professore di economia e i suoi studi aprirono prospettive nuove e inedite. Nel 1917 pubblicò Binbo monogatari (Racconto di povertà) in cui esaminava la povertà da un punto di vista della scienza economica. Notevole fu Shihonshugi keizaigaku no shiteki hatten (Lo sviluppo storico delle teorie economiche del capitalismo, 1923) e Keizaigaku taiko (Le basi dell’economia, 1928). Nel 1932 si iscrisse al Partito Comunista e partecipò ad attività clandestine. Kawakami Hajime espresse le critiche più profonde e severe allo stato giapponese. Nel 1911 pubblicò Nihon dokutoku no kokkashugi (Il nazionalismo peculiare del Giappone) sulla rivista "Chuokoron". Egli affermò che la condanna degli anarchici, avvenuta nello stesso anno, era intrisa di motivazioni. Il Giappone non poteva permettere che gli anarchici vivessero. Il motivo non era il pericolo costituito dai loro atti violenti, ma la devozione che essi avevano all’ideale e alla causa. Per i giapponesi, secondo Kawakami, il valore più grande e più alto era lo stato e la paura maggiore era la distruzione di questa adorazione.
"I giapponesi, pur disposti ad annullare se stessi nello stato, sono incapaci di farlo per qualcosa di più alto dello stato. Come risultato, gli studiosi sacrificano i loro princìpi allo stato e i monaci la loro fede. Questa è la ragione per cui noi giapponesi manchiamo di grandi pensatori e di grandi religiosi. Lo stato è il nostro Dio, e l’Imperatore rappresenta il divino kokutai. Il nostro sovrano incarna ciò che denominiamo la divinità astratta dello stato." (Nihon dokutoku no kokkashugi, 1911)
Altri intellettuali si avvicinarono alle dottrine marxiste come Miki Kiyoshi, Nakano Shigeharu, Kurahara Korehito e Kobayashi Takiji. Il filosofo Miki Kiyoshi (1897-1947) spiccò per la novità dei suoi studi. Dopo aver studiato con Nishida Kitaro si orientò alla filosofia della storia introducendo il metodo d’analisi marxista. Nel 1928 diede vita insieme ad Hani Goro alla rivista "Shinko kagaku no hata no moto ni" (Sotto la bandiera della nuova scienza) dove scrisse saggi sul marxismo. Nel 1931 pubblicò Rekishi tetsugaku (Filosofia della storia). Nonostante fosse cacciato dall’università per aver diffuso le idee marxiste, Miki Kiyoshi non era un comunista integrale, e il suo stesso metodo di studio era debitore a pensatori come Blaise Pascal, Martin Heidegger e il maestro Nishida Kitaro. Miki usò il marxismo, come altri intellettuali giapponesi, per il suo alto valore scientifico.
Agli occhi del comunismo occidentale Miki Kiyoshi può apparire più un avversario che un compagno. Infatti egli fu involontariamente fra i sostenitori del nihonjinron (specificità culturale giapponese) utilizzando gli stessi metodi del marxismo. In Kosoryoku no ronri (La logica del concepimento del pensiero, 1939) egli sostenne la formazione e la forza delle idee generate dalla storia e dai processi materiali. Così Miki Kiyoshi trovava una spiegazione della specificità giapponese conforme al materialismo storico. La diversa storia del Giappone avrebbe costituito da sola sia la causa sia l’effetto dell’originalità culturale nipponica. Sappiamo che la sinistra occidentale ha sempre etichettato come ideologica questa presunta specificità giapponese. Eppure Miki, coerente con il suo metodo d’indagine e fedele al materialismo storico, giungeva a un’analisi che partiva da presupposti materiali. Inoltre egli riusciva a spiegare l’ideologia, o sovrastruttura, in un contesto unitario e non fazioso, così come doveva essere per l’indagine storica.
Paradossale che i filosofi giapponesi dell’inizio del XX secolo avessero una conoscenza più perspicua della storia? Non è affatto casuale.
L’influenza del marxismo sugli intellettuali giapponesi degli anni Venti e Trenta fu davvero forte. Noro Eitaro (1900-1934) pubblicò Nihon shihonshugi hattatsushi (Storia dello sviluppo del capitalismo giapponese) in cui conduce una descrizione diacronica dei cambiamenti sociali coordinata dall’utilizzo sincronico dei concetti sociologici. Ciò gli consentì d’applicare uno studio comparativo e di trattare fenomeni prettamente giapponesi facendo uso di un linguaggio universale. Noro Eitaro aderì al Partito Comunista nel 1930, ma fu arrestato e torturato a morte dalla polizia soltanto quattro anni più tardi.
Altri storici giapponesi furono influenzati dal marxismo. Nel 1928 Hattori Shiso (1901-1956) pubblicò Meiji ishinshi (Storia della Restaurazione Meiji) e Hani Goro (1901-1983), nello stesso anno, Seisan ishinshi kenkyu (Studio sulla storia della Restaurazione). Insieme scrissero Nihon shihonshugi hattatsushi koza (Studi sulla storia dello sviluppo del capitalismo giapponese), opera in sette volumi editi fra il 1932 e il 1933.
Fortissima fu l’influenza anche sui letterati. Dazai Osamu (1909-1948) si iscrisse al Partito Comunista ma lo abbandonò nel 1932, pentendosi in seguito di questa scelta e avvertendo il senso di colpa d’aver lasciato i compagni di lotta. Anche Akutagawa Ryunosuke scrisse un saggio intitolato Puroretaria bungei to wa nan de aro (Che cos’è la letteratura proletaria?, 1927). Il comunista Kobayashi Takiji (1903-1933) scrisse il romanzo Kani kosen (La nave dei granchi, 1929) in cui descriveva le condizioni dei lavoratori su una nave da pesca e denunciava gli abusi del potere. Nel 1933 pubblicò Tenkan jidai (Età di cambiamenti) in cui racconta la storia di un iscritto al partito.
Altri scrittori marxisti furono Miyamoto Yuriko (1899-1951) e Nakano Shigeharu (1902-1979). Miyamoto Yuriko visse due anni e mezzo (1928-1930) in Unione Sovietica insieme a Yuasa Yoshiko, una studiosa di letteratura russa. Tornata in Giappone si iscrisse nel 1931 al Partito Comunista e sposò Miyamoto Kenji. Nonostante i numerosi arresti scrisse parecchi racconti e saggi. Il marito fu detenuto per dodici anni, e in questo periodo scrisse migliaia di lettere pubblicate nel 1950 col titolo Juninen no tegami (Dodici anni di lettere).
Un’altra scrittrice proletaria fu Hayashi Fumiko (1904-1951) che lavorò come venditrice ambulante, cameriera e inserviente nei caffè. Ella scrisse Horoki (Storia del vagabondaggio, 1928), un’opera che commosse molti lettori. Hayashi Fumiko ebbe una popolarità straordinaria nel Giappone del dopoguerra e la sua vita fu rappresentata al teatro, al cinema e alla televisione. La sua città, Onomichi, la ricorda con affetto e con una presenza costante (musei, statue, mostre, musei, celebrazioni, etc.).Ineko Sata(1904-1998)è un' altra scrittrice proletaria,iscritta al partito comunista giapponese e fu il primo membro del partito comunista giapponese a condannare lo stalinismo,tanto che questa posizione le creò molti problemi con il PCG,tanto da essere espulsa e riammessa continuamente.
La controversa storia del comunismo giapponese si costella così di eventi drammatici e popolari, che se da un lato gli rendono fama, dall’altro non gli consentono di ottenere quel consenso elettorale necessario per influire nella vita politica giapponese. Dopo la conclusione della Seconda Guerra Mondiale, gli americani abolirono la terribile legge sull’ordine pubblico del 1900 e il 4 ottobre 1945 furono liberati i comunisti ancora detenuti. Ma l’essersi opposti al regime non facilitò la vita dei comunisti giapponesi.
Il Kyosanto (Partito Comunista), fuori legge dal 1924, tornò alla ribalta e riorganizzato dai vecchi dirigenti usciti dalla prigione e dal ritorno di quelli che si erano rifugiati dai comunisti cinesi (come Nonaka Sanzo). Rinasceva così nella piena legalità (1 dicembre 1945). Purtroppo le elezioni del 10 aprile 1946 furono estremamente deludenti. I socialisti ebbero il 17,8 per cento dei voti, mentre i comunisti appena il 3,8 per cento. Liberali e progressisti raggiunsero invece il 43 per cento. Le elezioni del 23 gennaio 1949 segnarono un successo per i comunisti ottenendo il 9,7 per cento dei voti, circa tre milioni di elettori. Il merito fu di Nonaka Sanzo(spia di Stalin,tanto da perseguitare la sinistra del PCG che aveva tendenze trotskiste,per poi espellerla dal partito nel' 56,quando l' opposizione trotskista criticò il PCG,per il dichiarato appoggio che aveva dato all' invasione sovietica in Ungheria nel '56)che attraverso gli slogan "rivoluzione pacifica" e "comunismo simpatico" "si può conquistare la maggioranza anche sotto occupazione americana" volle dare "un’impronta tranquillizzante al comunismo",una cosa cosa fuori dal mondo. Gli anni Sessanta e Settanta furono un periodo di duri scontri sociali che videro l’occupazione delle università e i tafferugli degli studenti con la polizia causata dai gruppi trotskisti alla sinistra del Partito Comunista Giapponese che si stava adeguando su posizioni socialdemocratiche dalla metà degli anni sessanta.I gruppi trotskisti e il Partito comunista contestavano l’alleanza con gli Stati Uniti che erano considerati gli artefici di un nuovo imperialismo. Le vicende della guerra del Vietnam sembravano legittimare queste critiche. Negli anni Ottanta il benessere sembrava far dimenticare le diatribe della politica. Ma gli scandali della corruzione avrebbero colpito la classe dirigente, e il partito comunista non avrebbe mancato l’occasione di condannare e mostrare le deformazioni del potere.Ma lo stalinismo doveva fare i conti con la storia e il crollo del URSS fu un requiem per i partiti "comunisti" di tutto il mondo,ad eccezione del partito comunista giapponese che non subì una crisi interna dopo il crollo dell' URSS,ed anzi festeggiò il crollo dell' URSS tanto che fece un comunicato stampa intitolato "Accogliamo con piacere la fine di un grande male storico dell'imperialismo e egemonismo mondiale" mentre allo stesso tempo criticò i paesi dell' est per aver abbandonato la dittatura stalinista descrivendola come un' inversione della storia. Di conseguenza il partito non ha ritenuto di sciogliersi o di cambiare nome. Alle elezioni generali del 1993 il PCG ottiene 7,7 %,e non partecipò al governo di Morihiro Hosokawa,a capo di partiti in opposizione al Partito Liberal Democratico,compreso il Partito socialista che era il principale partito di opposizione ai liberaldemocratici,che durò 11 mesi,quando i socialisti hanno abbandonato il governo di Hosokawa,facendolo di conseguenza cadere,formando un governo con il Partito Liberal Democratico,con primo ministro socialista.Questa scelta disgraziata fece perdere molti elettori al partito socialista che ora,sotto il nome di partito socialdemocratico,è un piccolo partito in crisi di voti. Alle elezioni del '95(per la camera alta)il PCG ottene il 9,3%,in quelle generali del ' 96 il 12,5 %,in quelle per la camera alta del '98 il 14,6 %,in quelle generali del 2000 l' 11,3 %,in quelle per la camera alta del 2001 il 7,9 %,in quelle generali del 2003 il 7,76 %,in quelle per la camera alta del 2004 il 7,8 %,in quelle generali del 2005,imposte dall' allora primo ministro Koizumi, perchè la dieta aveva bocciato il suo decreto legge di privatizzare Japan post,ottiene il 7,3 %,in quelle per la camera alta del 2007 ottiene il 7,5 %,in quelle generali del 2009,anno della vittoria di Hatoyama,il 4,2 % e nelle ultime elezioni per la camera alta del 2010,dopo il calo avuto negli ultimi anni ha ottenuto il 6,1 %.Oggi il Partito Comunista Giapponese è un partito che conta 415.000 iscritti,rendendolo uno dei partiti più grandi in Giappone e il secondo partito comunista più grande dopo quello russo dei paesi che fanno parte del G8,ma è un partito che oggi ha posizioni socialdemocratiche,perchè difende la democrazia borghese,è non-violento e non opta per una rivoluzione socialista ma vorrebbe attuare una "rivoluzione democratica" all'interno del sistema capitalistico e una restaurazione della sovranità nazionale giapponese e riconosce,cosa più grave al mio punto di vista,l' imperatore come capo di stato e come figura di unità nazionale,tradendo la genuinità e l' arcaismo puro del comunismo giapponese,già tradita dalla svolta filo staliniana che il PCG ha preso nel dopoguerra.
Cosa rimane del comunismo giapponese? In Europa si parla di comunismo come di un fantasma del passato. E in effetti così comparve sulla scena mondiale secondo le stesse parole di Marx ed Engels. Però il Giappone è un paese dove si è abituati a convivere con i fantasmi, così come piaceva a Lafcadio Hearn, e io sono fiducioso che il comunismo(Non il partito comunista,che sia chiaro)non solo non apporterà danni, ma come in passato solleciterà il paese con nuove idee. E se ne avrà la forza, tirerà i fagioli ai nuovi e vecchi orchi come nella tradizione giapponese.
O sonho comunista continua acesso e vivo nos corações de todos nós, espero que esse blog seja valorizado pela maneira com que trata o assunto.
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