CONQUISTA DI BERLINO

CONQUISTA DI BERLINO

mercoledì 4 maggio 2011

IL SESSANTOTTO GIAPPONESE



La peculiarità dell'imponente movimento sessantottino che investì anche il Giappone nel 1968, discende in gran parte dalla particolare situazione sviluppatasi nel paese dopo la sconfitta del 1945. In sostanza, la genesi e lo sviluppo del movimento studentesco sono intrecciati con le vicende del periodo di occupazione americana, con le scelte politiche del Partito Comunista Giapponese e con il problema dei rapporti tra il Giappone e gli Stati Uniti, dopo il ritorno all'indipendenza.

Il Giappone dal 1945 al 1952 fu sottoposto ad un regime di occupazione militare da parte degli americani. Il paese venne privato dei territori che si era annesso nel corso dell'ultimo secolo, e cioè delle isole Curili a Nord (che passarono all'URSS) e delle isole Ryukyu a Sud (che passarono sotto l'amministrazione americana, per poi tornare al Giappone nel 1972). Naturalmente, il Giappone perse anche Formosa, la Corea, la Manciuria e le conquiste ottenute durante la II Guerra Mondiale.
Gli americani tennero verso il paese vinto, inizialmente, un duplice atteggiamento. Da un lato, intendevano punire gli uomini politici giapponesi per le loro colpe passate, che avevano condotto alla guerra. Dall'altro volevano modificare le strutture economiche e politiche del paese in modo da rendergli impossibile riprendere, in futuro, la sua vecchia politica espansionistica. Molte persone vennero condannate a morte o a pene detentive come "criminali di guerra". 200.000 giapponesi vennero "epurati", e cioè allontanati dalle loro cariche a causa delle loro passate responsabilità politiche e complicità con i militaristi. Al paese venne imposta una nuova costituzione, che limitava il potere dell'Imperatore rendendolo pressochè simbolico. Si decise anche che gli zaibatsu dovevano essere tutti smantellati, e si preparò un elenco di 1200 imprese industriali da abolire. Naturalmente, i giapponesi non vedevano di buon occhio tutte queste iniziative. La maggior parte di loro aveva molto sofferto della guerra, e non c'era quasi famiglia che non avesse avuto un morto, un ferito o un mutilato. Molti di essi odiavano chi li aveva trascinati in un'avventura crudele ed irresponsabile. Ma avrebbero voluto essere loro a punire i vecchi fascisti, i grandi industriali che avevano voluto la guerra per aumentare i propri profitti. Che a farlo fossero, invece, degli stranieri, feriva il loro amor proprio, il loro orgoglio nazionale, e faceva loro sperare una futura rivincita: tanto più che i giapponesi non erano del tutto convinti che le colpe fossero soltanto loro, e non anche dei loro ex nemici.
Il Giappone stentava a sollevarsi dalle rovine della guerra. La situazione economica era disastrosa: per fare un esempio, l'acciaio cadde da 7.500.000 di tonnellate prodotte nel 1943 a 750.000 prodotte nel 1946. In un paese dalle città semidistrutte e dalle fabbriche chiuse ritornavano in massa, nella vana ricerca di un lavoro, coloro che erano emigrati nei territori un tempo occupati e i soldati, ormai laceri e vinti, di quello che era stato un grande esercito conquistatore.

La fame e la disoccupazione tormentavano la popolazione. Manifestazioni, scioperi, occupazioni di miniere o di fabbriche, marce di protesta erano represse con durezza.
Nel 1948, a causa del prevedibile successo del Partito Comunista Cinese, nella Guerra Civile Cinese(1946-1949), il Giappone si trasformò per gli Usa da paese nemico in potenziale alleato nel cruciale scacchiere asiatico. Una "inversione di rotta" che divenne palese con lo scoppio della guerra di Corea. In altre partole, era meglio avere un alleato fedele e potente pittosto che un paese indebolito, insoddisfatto ed ostile.
D'altra parte, il partito socialista, quello comunista e i sindacati ad essi collegati, anche a seguito di molteplici interventi repressivi voluti dal comando di occupazione e dal governo giapponese, non seppero elaborare strategie vincenti per un allargamento popolare della democrazia, né individuare obiettivi politici comuni. Una eredità che avrebbe pesato anche dopo il 1952, quando il paese recuperò la sua indipendenza.
In questo contesto si colloca la nascita della nuova sinistra in Giappone, nascita che precede di un decennio il Sessantotto. Nel 1958, il ministero dell'Educazione intraprese un'azione repressiva contro gli insegnanti del sindacato Nikkyoso, che lottavano contro l'autoritarismo e la limitazione delle libertà nella scuola. In difesa degli insegnanti si schierarono soltanto le organizzazioni studentesche, mentre il partito comunista e i sindacati di categoria si astennero dal conflitto.
Dopo la rottura della sinistra giovanile e più radicale con il partito comunista, un più forte radicamento dei gruppi studenteschi conferì rinnovato slancio alla lega nazionale degli studenti (Zengakuren), la quale individuava nel processo di riorganizzazione autoritaria del capitalismo giapponese e nella sua alleanza con l'imperialismo americano i principali ostacoli a una sostanziale democratizzazione della società giapponese.
Si sviluppa così tra il 1959 e il 1960 la lotta contro la firma del nuovo Trattato con gli Stati Uniti. Ci furono battaglie e manifestazioni studentesche contro questo trattato che culminarono con la morte di una studentessa.Perduta questa battaglia, il movimento subisce scissioni e abbandoni, ma la Zengakuren, senza rinunciare alla centralità della tematica antimperialista (nella seconda metà degli anni '60 si intensifica la mobilitazione contro la compromissione del governo di Tokyo nella guerra del Vietnam) cerca di saldare la sua lotta alle contraddizioni che percorrono la società giapponese: denuncia, pionieristicamente, i danni provocati all'ambiente dall'inquinamento industriale, appoggia la protesta dei contadini di Narita, espropriati per la costruzione del nuovo aeroporto internazionale di Tokyo. Queste tematiche innerveranno, insieme alla mobilitazione antimperialista, il sessantotto giapponese.
In gennaio violenti scontri tra studenti e polizia, prima a Tokyo e poi a Sasebo, accolgono l'arrivo della portaerei nucleare americana Enterprise.Gli Zengakuren assediano la base statunitense e un gruppo riesce addirittura a penetrarvi. La Enterprise getta l'ancora al largo della costa giapponese.
In marzo l'epicentro di furiosi scontri tra studenti e polizia diventa l'aeroporto in costruzione di Narita, mentre dilaga il movimento contro l'intervento Usa in Vietnam. Il Giappone è un'immediata retrovia dell'invasione. Dalla base di Okinawa decollano i B52 americani, carichi di bombe destinate al Vietnam del nord. In febbraio, una manifestazione studentesca davanti alla base di Okinawa era sfociata in violenti scontri con la polizia.
Solo nella tarda primavera, conservando, tuttavia, la sua fortissima connotazione politica generale, alimentata dall'escalation della guerra americana in Vietnam, la contestazione investe massicciamente scuole e università, determinando una tumultuosa crescita del movimento.
I gruppi già organizzati di studenti chiamano alla lotta i loro compagni contro l'aumento delle costosissime tasse scolastiche, contro un'organizzazione della didattica e della ricerca interamente asservita alla logica del sistema e ai rigidi valori del capitalismo nipponico, contro la dura selezione che regola l'accesso all'università (una poderosa barriera di classe): l'iscrizione a un'università prestigiosa consente infatti un inserimento al più alto livello nel mondo del lavoro, ma per accedervi occorre che lo studente si prepari spesso per uno o due anni dopo il liceo. E soprattutto che disponga dei mezzi per farlo.
La protesta e le occupazioni dilagano e nasce lo Zenkyoto (Comitato di lotta interfacoltà), al quale aderiscono ricercatori, assistenti, personale non docente e alcuni professori di oltre duecento università. Il fronte si amplia e in estate riprendono con vigore le manifestazioni per il Vietnam in tutto il paese, con scontri, arresti e feriti.
Il culmine sarà raggiunto alla fine di ottobre con un vero e proprio "assalto a Tokyo". Il movimento degli studenti, ai quali questa volta si uniscono anche gli operai, attacca il parlamento, l'ambasciata americana, la sede della polizia e la stazione ferroviaria di Shinjuku, simbolo del sistema, dove transita ogni giorno oltre un milione di persone, che viene occupata.
Le manifestazioni si svolgono in più di trecento località giapponesi.
 
Dopo tre giorni di violentissima guerriglia urbana la polizia ha ragione dei dimostranti e gli studenti sono costretti a ritirarsi nelle università. A metà gennaio del 1969 cadrà l'ultimo bastione ancora in mano al movimento, l'università di Tokyo. Da quel momento inizia la lenta ma inesorabile "ricomposizione" della società giapponese,seppur gli studenti e la Lega Comunista Rivoluzionaria Giapponese(Chukaku-ha, la piu' grande organizzazione trotskista giapponese,egemone del movimento studentesco giapponese)continueranno a lottare contro il governo fino alla meta' degli anni 80',avendo scontri con la polizia per la costruzione dell' aereoporto di Narita,che chiedeva uno sfratto degli abitanti della zona e contro la sua espansione,mentre alcuni studenti maoisti(minoranza del movimento insieme agli stalinisti)fonderanno l' Armata Rossa Giapponese,gruppo terroristico,che faceva propria la strategia piccolo-borghese della lotta armata come il surrogato del radicamento nella classe operaia,con a capo Fusako Shingenobu,insomma una sorta di BR giapponesi.

L'azione repressiva della burocrazia sarà pesantissima e sistematica. Nel solo 1969 il ministero dell'Educazione chiederà oltre 350 interventi delle forze di polizia contro università "in agitazione". Negli anni seguenti il consenso verrà abilmente riorganizzato intorno a obiettivi nazionali (primi fra tutti, l'ascesa economica del Giappone e le sue brillanti prestazioni tecnologiche) riconducendo la maggioranza dei cittadini agli stereotipi dell'"armonia sociale" e a una disciplina produttiva divenuta proverbiale. I sentimenti antiamericani prenderanno la strada della competizione capitalistica e il dissenso sconterà un fortissimo isolamento.

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